Spirali oniriche

1085396312.jpgMi agito, annaspo furiosamente in questa atmosfera appicciosa, ma non riesco a compiere nessun movimento.
Manca l’aria… manca l’aria! Il senso di soffocamento e oppressione è fortissimo… annaspo agitato.
E’ quasi la fine, anche se non so cosa potrebbe essere questa fine, ma poi rimango immobile; ed allora scopro che respirare non mi serve, e mi sto muovendo.
Solo rimanendo immobile posso muovermi.
Ma per andare dove? Tutto intorno è penombra, la densità dell’etere è collosa, non dovrei essere qui.
Ora che mi muovo, il paesaggio sembra scorrere lentamente intorno a me, a blocchi che si mescolano nella corrente.

Chiedo a quella donna che si affaccia alla finestra, che all’improvviso è apparsa sopra di me.
Ha capelli rossi e abiti arancioni, sembrano l’unica cosa colorata che riesco a vedere.
“Dove mi trovo?”
“Hai trovato un rifugio sicuro, entra!”
Entro, ma mi sembra come rimanere fuori, non cambia nulla.
Lei è li davanti a me, fluttua a mezz’aria. Mi conduce lungo corridoi tetri, dove persone e figure umane sembrano scolpite, in rilievo, sulle pareti.
“Dove siamo?”
“Non lo so”
“Chi a creato tutto questo?”
“Tu, Voi, Noi”
“Allora sto sognando!”
“Non smetti mai di sognare, cosa cambia?”

“Sono più reali queste persone o te?”

Senza rispondere, salgo delle scale lì vicino ed entro in una stanza cilindrica. Nella stanza c’è una finestra aperta, dritto davanti a me.
Dietro sento la voce della donna, sempre più lontana, sempre più remota.
“Bene, questa è una risposta, istintiva, consapev….”
Mi affaccio e vedo un panorama di montagne innevate e altopiani macchiati di foreste e neve bianca e rosa. Il sole è quasi tramontato, sono senza fiato.
Anzi, il mio fiato diventa il vento che scuote gli alberi sui monti.

Quand’ero piccolo vedevo le montagne come montagne, i laghi come laghi, gli alberi come alberi.
Poi ho studiato a lungo, e tutto si è trasformato in cose più complesse, le montagne non erano più montagne, ma cose da analizzare.
Poi ho dimenticato tutta la conoscenza, e le montagne sono tornate ad essere montagne, i laghi laghi e gli alberi alberi, ed io sono tornato ad essere.

Regina nera

La regina nera ti guardava,
dall’altro del suo trono d’avorio:
non aveva pietà;
o forse sapeva, sapeva tutto,
e stava solo aspettando il momento buono.
Ma anche in quell’attimo ella
rimase gelida, il cuore di cristallo
dietro agli occhi neri.
Ho vinto la guerra, ho vinto tutto…
ma ho perso contro di lei.

Sepolto

Sepolto.
Sepolto sotto macerie bianche
o sotto un terreno brullo,
che differenza può fare?
E’ solo un’anima che non l’accetta,
e ancora al tramonto la puoi vedere
accovacciata sul suo anziano destriero,
tra le dune e l’orizzonte.

La porta dell’inizio

Ho raggiunto la porta dell’inizio,
il portale dell’immaginazione.
Ora, ora solo, posso iniziare.
Dai cancelli di ciò che si ha,
si ammira,
si odora,
ma non si possiede,
pur avendola soltanto per sè,
unicamente e particolarmente per sè,
essa ha vita propria,
fugge e torna,
va e viene,
prende, lascia e strappa via,
ma il sapore dei prati verdi,
o delle paludi fumanti e putride,
o dei soli convergenti lungo la vallata,
o degli antichi velieri solcanti il mare,
ignoto dell’ignoto,
origine della conoscenza,
fonte della paura.
Sgorga da dentro
ma ha origine fuori,
da dove si son chiesti,
coloro dei quali tu – chi?
vali molto di più.
Essenza spirituale,
nella parte fisica,
quando questa muore, noi – chi?
diventiamo essa.
Più non è dato sapere
ne mai si saprà.
Ma ciò che vuoi conoscere – cosa?
te lo dice lei stessa – chi?
che ti spia da ovunque
e ovunque,
e ti lascia solo quando la spii…
Attraverso lo specchio,
si capovolge,
folletto folle.
Egli – o ella?
non tornerà, finchè non vorrai che vada via,
non fuggirà, finchè non la desidererai,
non ti aliterà, finchè non soffocherai;
respiro, di un’alba fuggente
o di campane perdute nel tempo,
e nel ricordo.
Per lei non c’è ricordo,
che non si possa dimenticare,
prima di averlo vissuto.
Ella è tutto ciò,
ma in fondo essa non esisterà più,
quando, all’inizio,
tutto ciò sarà finito.

Sogno

Mi ero improvvisamente addormentato.
Certo, da molto stavo aspettando questo momento, ma non avevo creduto che sarebbe potuto arrivare cosi improvvisamente.
E neppure avrei potuto pensare di ritrovarmi in quel luogo in cui ero apparso, poiche` cio` che avevo in mente era tutt’altro.
Ho notato che la mente ignora del tutto le tracce e i suggerimenti che gli forniamo per qualunque tipo di sogno, e fa quello che vuole, o forse attinge ad un’aurea in cui sono immagazzinati tutti i nostri sogni, passati e futuri.
Be`, come ho gia` detto, non mi sarei mai aspettato di trovarmi in un luogo cosi strano e sconosciuto.
I colori che costituivano quel mondo erano perlopiu` opachi e grigi; anzi, ahh!, sembrava fossero stati disegnati a matita! Ed e` strano che solo ora osservi che, come nei ritratti disegnati con semplici tratti di matita, risulti piu` evidente la vitalita` del disegno, il suo spirito, le impressioni che l’autore, in proporzione alla sua capacita`, ha voluto imprimervi : spesso un ritratto di questo tipo, comunica piu` sensazioni di quanto possa fare uno magari disegnato a colori e con una tecnica particolare.
Ebbene, in questa visione provavo che cio` era esattamente vero. I disegni si susseguivano come frattali immaginari disegnati a matita; quel colore grigiastro comunicava direttamente con l’anima, e contribuiva a dare una nuova dimensione a quel mondo. Ma non e` solo per questo che affermo che la geometria di quelle visioni non era affatto euclidea, lineare. Tutt’altro.
Forse tutto cio` si poteva spiegare con il fatto che un oggetto cambia a seconda del punto di vista e del modo col quale lo si guarda; forse, il particolare algoritmo utilizzato dal cervello per unire le immagini separate che ci giungono dai due occhi nel mondo reale, qui era diverso, e questo causava le visioni che avevo. Probabilmente le immagini trasmesse dagli occhi al cervello, leggermente diverse, venivano sovrapposte o sfasate, e si formava cosi un’immagine che era a meta` tra le due, frutto di qualche elaborazione particolare, quale per esempio un fade o la proiezione su un piano avvallato o distorto (immaginate la superficie di una sfera e proiettatevi sopra un’immagine in movimento).
Non riuscivo a vedere null’altro che questo alternarsi di paesaggi fittizi, angoli convessi che poi apparivano ottusi, spigoli che si rivelavano sferici e via dicendo. C’erano buche che si aprivano in profondita` e altre che salivano inspiegabilmente verso l’alto, dove persisteva una tenue colorazione chiara, simile a bruma.
Fluttuavo, sorvolando quel grigiore continuo fatto di paesaggi e luoghi, montagne prive di vegetazione e valli deserte; mi chiedevo di cosa ero fatto, cos’ero. Non scorgevo nessuna parte di me, quasi che fossi uno spettro, o l’aria stessa (se aria vi fosse stata), o una sfera che in ogni punto della sua superficie ha un occhio, e con ognuno cerca inutilmente di vedersi.
Quando cominciavo a chiedermi quando tutto cio` sarebbe finito, capii che quello era solo un luogo di transizione…..che cio` a cui ero destinato era un altro posto a cui presto sarei arrivato viaggiando attraverso quella strana dimensione.
All’improvviso tutto svanii come era comparso. Stavo attraversando una sostanza porosa e nera e intorno a me non riuscivo a scorgere nulla. Mi sentivo come una palla di mercurio, che si estende fino a diventare un ellisse in ogni direzione, e ogni volta, quando e` sul punto di disgiungersi, torna ad essere una sfera e subito dopo si riovalizza, e via di seguito, con un moto costante e regolare.
Alcuni attimi dopo ero comparso in una piccola cella con le pareti di pietra. Istintivamente mi avvicinai alle sbarre e notai che la cella era aperta. Ne uscii con circospezione; mi trovavo su uno stretto pianerottolo di ferro con una ringhiera che dava sul vuoto. Ad alcuni passi dalla ringhiera potevo notare il muro della prigione, e sporgendomi si vedeva una serie innumerevole di piani identici a quello sul quale mi trovavo. A destra e a sinistra si ripetevano moltitudini di celle simili a quella in cui ero comparso; ognuna era occupata da una persona. Non ricordo bene quanti individui vidi, quante facce senza espressione, rassegnate a quella prigionia disumana.
Non so bene quando mi accorsi che tutte le celle erano aperte. Ne aprii una e chiesi al prigioniero perche` non usciva, visto che la cella era aperta. La risposta mi agghiaccio` :
« Uscire? E per andar dove? Non ho nulla da fare, da anni sono qui dentro…. non ho piu` ne` passato ne` futuro; non ha senso uscire, come non ne ha la vita intera! »
Udito cio` mi voltai e iniziai a correre lungo la stretta passatoia di ferro, e ad ogni passo si sentiva l’eco rimbalzare lungo le pareti, finche` questo suono periodico e cadenzato non riempi l’aria e mi ipnotizzo`……
Mi trovavo su di una spiaggia senza sapere come vi ero finito. Accanto a me due persone anziane, stavano accovacciate sulla riva del mare. L’uomo stava cercando di consolare la donna che singhiozzava.
Mi avvicinai e chiesi cosa era successo. Risposero che quel gabbiano – mi indicarono il pennuto in volo sopra di loro – aveva abbandonato il proprio cucciolo perche` era malato.
Risposi che quella era la legge della natura, e che loro non avrebbero potuto farci niente.
« Certo » risposero « ma questa e` l’isola della tristezza, ed ognuno deve essere triste per qualcosa »
« Hei amico! » udii una voce venire dal mare.
Mi voltai e vidi un giovane ragazzo su una vecchia barca a remi.
« Dai, sali su, abbandoniamo l’isola della tristezza, poiche` io sono giovane e voglio vivere spensieratamente e in allegria »
Sali sulla barca chiedendogli dove saremmo andati, e lui rispose che ogni luogo sarebbe stato migliore dell’isola della tristezza.
Mentre la barca si allontanava dalla riva, lanciai un ultimo saluto ai due anziani che mi risposero agitando le mani.
Nelle ore successive, io e il ragazzo facemmo a turni per remare; scopri che era alla ricerca di un luogo in cui regnasse la pace, in cui era possibile vivere liberamente e serenamente, un luogo in cui ognuno facesse qualcosa per gli altri senza chieder niente in cambio; il giovane voleva vivere assaporando il piacere delle poesie cantate al crepuscolo, dei balli intorno ad un fuoco, del silenzio e della solitudine quando ne aveva voglia, e dell’allegria e del gioco quando lo giudicasse opportuno.
Gli risposi che probabilmente un luogo del genere non esisteva. Quando gli raccontai del mio mondo, vidi la sua faccia scurirsi e il suo capo abbassarsi in preda allo sconforto.
Allora si alzo` in piedi nella barca traballante, e si getto` in mare, senza ricomparire piu`, lasciandomi li, completamente solo, in mezzo ad un mare sconosciuto.

Breve addio al vento

Scritto da qualche parte, in qualche tempo intorno all’anno 1994. 

“Pregherò,
pregherò finchè vuoi….
ma non togliermi lei”
Passò un attimo di silenzio
che sembrò un eternità.
L’enorme, stupendo Albero
dalle foglie argentee
stava sussurando al vento
che ne accarezzava le foglie.
La figura accovacciata ai suoi piedi,
un ragazzo giovane dai capelli castani,
era avvolto nel buio :
non poteva vedere la luce del Grande Albero.
Ascoltò il sussurro del vento
e pianse.
Le sue lacrime si spensero al suolo.
“Perchè? Perchè non vedo la tua luce?”
E fu allora che, alzando gli occhi vide,
oltre il Grande Albero, lei,
stupenda, magnifica.
Di nuovo il sussurro del vento
accarezzò il ragazzo.
“Certo….dono me stesso,
per avere fede in te…..
per sempre….”
le lacrime che gli rigavano il volto
si stavano asciugando,
come la notte che cede il posto
al giorno.
E allora lei si voltò e scomparve,
in mezzo a splendidi giardini
di fiori immacolati.

Navi nelle nebbia

864b25f3c1b9ee2aea5bca3985cd33b8.jpegAll’improvviso la nave uscì dalla nebbia che ci aveva occultato per tutta la durata del giorno. Era ormai sera e ci eravamo spinti molto a nord, navigando oltre le Shetlands. Lo spettacolo che ci si presentò davanti ci lasciò senza fiato: il sole rosso cupo stava fermo a tribordo, appoggiato sulla riga dell’orizzonte, velato da nubi e nebbie. La luce violetta dei suoi raggi dipingeva l’enorme distesa di ghiaccio a nord, invisibile fino a poco fa, di un colore sanguigno. Guglie misteriose e costruzioni improbabili si innalzavano su colline stranamente prive di ghiaccio, testimoniando chiari segni di civiltà.
Ma non eravamo soli: a babordo era appena spuntata dalla coltre di nebbia un nave enorme sconosciuta, che sembrava venire lentamente verso di noi come per intercettarci. Se non l’avessi vista galleggiare, non avrei mai creduto che una nave siffatta avesse potuto prendere il mare senza affondare: le fiancate sembravano troppo inclinate, un rollio più accentuato del solito le avrebbe inondate d’acqua, mentre le estremità erano strette ed affusolate, e salivano uscendo dall’acqua molto rapidamente. Sul pennone di prua si ergeva una grossa statua, raffigurante una figura umana femminile ma troppo slanciata, con volto e membra molto lunghe.
Ben presto furono visibili i marinai del barcone: anch’essi avevano le fattezze simili a quelle della statua, con volti molto lunghi; avevano carnagione chiara e baffi e barba a treccie molto lunghe ma solo sul mento, mento e mascelle sporgenti; i vari ponti della nave erano punteggiati da contenitori pieni di terra, dove crescevano strane piante ed erbe, incredibilmente rigogliose, mai viste prima.
Ci tagliarono la strada, aumentando di velocità e navigando incredibilmente contro vento, seppur modesto, buttandoci solo qualche occhiata con occhi scintillanti come quelli dei gatti; poi la nave sparì in un banco di nebbia.
Anche la visuale a nord era stata occultata da qualcosa simile a nebbia; quando sembrò diradarsi, quello che potemmo vedere era solo mare aperto, a perdita d’occhio.