J’écoute le riz pousser

Ci dicono che per uscire dalla crisi economica dobbiamo lavorare di più. Diventare cinesi. Che la Cina vada al disastro e affoghi nell’inquinamento, sono obiezioni irrilevanti. Si va avanti lo stesso. «È da questa cecità che dobbiamo liberarci», dice il francese. Sì, ma allora qual è il modello giusto? «Anni fa ho incontrato un contadino laotiano. Stava seduto sul bordo di un campo e non faceva nulla. Gli ho chiesto: che fai? Ha risposto: ascolto il riso che cresce. J’écoute le riz pousser. Ritroviamo il piacere della vita, prima dell’ansia di fare».
J’écoute le riz pousserultima modifica: 2008-02-29T20:20:00+01:00da providence_77
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3 pensieri su “J’écoute le riz pousser

  1. 3 – La vendetta del cinese sulla riva del fiume

    Un giorno un giovane vigoroso si presentò, trafelato e furente, davanti al saggio Confucio. Disse: “Un mio nemico mi ha oltraggiato e desidero ardentemente di vendicarmi. Quale modo ritieni giusto per punirlo adeguatamente, in modo che io abbia soddisfazione?”
    Confucio rispose: “Raccogli le tue cose, vai sulla riva del fiume, siediti e aspetta. Un giorno vedrai il cadavere del tuo nemico passarti davanti”

    Confucio è stato il capostipite delle filosofie religiose orientali, anche il Buddhismo trae spunto dal suo pensiero, in quegli aspetti che non derivano dalla influenza induista. Fu il predecessore di Lao-Tzu, il fondatore del Taoismo, e può essere considerato, a buon titolo, una figura analoga a quella che rappresentò Socrate per l’Occidente.
    In questo aneddoto troviamo uno dei suoi insegnamenti più famosi: davanti alle passioni dirompenti del mondo l’uomo saggio deve imparare a dominare gli istinti con la ragione, guardando con distacco alle cose contingenti per saperle rapportare in maniera adeguata alle cose assolute.
    Confucio non dubita della legittimità delle rivendicazioni del giovane che gli si presenta dinanzi; nemmeno contesta la necessità di una giusta punizione per colui che lo aveva offeso. Solamente fa capire che il giudizio su una punizione da infliggere non deve essere preso giammai quando si è in preda alle emozioni; né tantomeno è opportuno che sia la parte offesa a comminare ed eseguire la pena nei confronti della parte offendente, perché il rischio sarebbe quello di commettere un’ingiustizia più grande dell’offesa stessa, con il conseguente degrado morale di chi per primo aveva subito un torto.
    Confucio insegna ancora di più: la giustizia, se è davvero tale, troverà il modo di fare il suo corso, magari in un modo inatteso e apparentemente non collegato al fatto specifico. Basta saper aspettare con fede, soffocando le bramosie della carne che grida vendetta e perseverando nella ricerca della verità per una condotta di vita onesta e retta.

    A volte un torto subito può valere come banco di prova: si può scegliere la strada del degrado, seguendo l’irrazionalità delle passioni, oppure si può trovare la via per una maturazione interiore che trasforma la debolezza in forza.
    Confucio non dice di assumere un atteggiamento di distacco, come sembrerebbe a prima vista; non dice di eliminare le passioni, bensì insegna a dominarle e a usare la loro forza per trovare la perseveranza nell’attesa della giustizia, che alla fine arriverà con la constatazione della definitiva sconfitta e della morte del nemico, affidato alle acque del grande fiume Yang-Tze come si usava nei riti funebri di quella civiltà.

    Da un punto di vista puramente umano questo è il massimo che si possa raggiungere; Gesù di Nazareth invece ci invita a trascenderci in uno sforzo sovrumano, verso la nostra vera natura che è l’Amore, insegnandoci “Ama il tuo nemico”.
    Non solo ci insegna a perdonare, ma addirittura a trasformare l’odio in amore. Ieri, come oggi, questa chiamata suona come scandalosa e per molti risulta inaccettabile. Eppure è l’unica che permetta di vivere sempre serenamente nella comunione dell’amore, anziché nell’attesa della soddisfazione o in conflitto con le rivendicazioni del senso umano di giustizia.

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