Strìa Gatina

dsc00192.jpgTorna fra Dolcino, il grande eretico del Trecento, ed espugna un simbolo della Controriforma, il sacro monte di Varallo. Per il 700° anniversario della sua estrema resistenza in Valsesia, avvenuta fra il 1305 e il 1307 e finita sul rogo (lui e i Fratelli Apostolici erano chiamati «porcari, guardiani di vacche, cani bastardi, gente che costruisce la Sinagoga di Satana»), il Comune di Varallo Sesia ha deciso di dedicargli una lapide e organizzare nei prossimi mesi, in collaborazione con il Centro Studi Dolciniani, un ampio programma di convegni, spettacoli e incontri. Eresia e stregoneria furono repressioni strettamente collegate, così si comincia il 29 ottobre a Varallo con una lapide per ricordare l’ultima strega trucidata in Italia, la Strìa Gatina, vedova poverissima che nel 1828, a Cervarolo di Varallo, fu accusata di aver lanciato un maleficio e massacrata di botte.

“La lapide sancisce la sua riabilitazione – spiega Corrado Mornese, che al personaggio ha dedicato anni di studi e numerosi saggi – ed è molto importante che un sindaco e un’amministrazione comunale abbiano l’intelligenza e il coraggio di recuperare un patrimonio storico importantissimo, al di là dei conformismi e delle remore che ancora aleggiano su questi temi”. Dolcino e i suoi non erano guerrieri, ma intellettuali, spiega Mornese, e l’accanita resistenza in quelle remote valli, gli scontri e le sofferenze vennero sostenuti dai montanari. Molti storici, compresi quelli marxisti, enfatizzarono il ruolo di Dolcino, ma aldilà delle ideologie i veri protagonisti furono i montanari, la gente semplice, la “nazione alpina” che reagì all’invasione dei crociati in difesa di un’autonomia ottenuta dalla Valsesia già da una trentina d’anni. Il pensiero – con i dovuti distipguo – corre alla resistenza dei catari a Montségur, alle splendide pagine che Simone Weil dedicò alla “Civiltà Occitana”.

Certo, il pensiero di Dolcino influì sulla rivolta: il suo cristianesimo era mite, un sentiero dei semplici antielitario, che esaltava povertà e comunità, rinuncia e sofferenza, il rifiuto del mondo e delle mondanità. Tutte cose che i montanari capivano benissimo: la strada di Dolcino per salire a Dio era quella dei poveri, degli umili che non sapevano di latino, dei rustici privi di beni materiali. La ribellione fu prima di tutto resistenza montanara, non eretica; fu un conflitto armato tra modelli sociali e cristianesimi differenti, alternativi. Uno scandalo attualissimo: perché la sconfitta della montagna, piegata dalla pianura, è anche storia di oggi, sia in termini di risorse che di valori come la parsimonia, il sacrificio, la tenacia e la fatica. Fu un’imposizione di modelli culturali, il trionfo di un modo di intendere la civiltà. Lo prova il modo ossessivo con cui l’Inquisizione, anche molti decenni dopo il rogo di Dolcino, diede la caccia ai suoi seguaci; quel pensiero era penetrato a fondo, aveva fatto strada. “Per compiere l’opera – dice Mornese – per abbattere il mondo da cui era nata l’eresia, un mondo altro rispetto alla città e al potere, bisognava colpire al cuore, nel centro, cioé la donna, cemento della comunità arcaica. “Witch”, strega, nell’inglese antico è “wicce”, “colei che sa”, che conosce i ritmi della natura, che dispensa il cibo, medicine”. La stria Gatina si ribellò al taglio di un grande albero.

Tratto da: laltralanciano.org